lunedì 28 maggio 2012

Gratis non esiste, ovvero, chi sta approfittando di te

the product is you by adbusters.org
Un'azzeccata campagna di adbusters.org
Prendo spunto dal NONpost di oggi dell'ottimo Giovanni Scrofani solo per "estenderlo" (mi si perdonerà l'arroganza) con qualche considerazione sul concetto di gratuità nel web due-punto-zero.

Chi è abbastanza "vecchio" da aver visto il web pre-Google si ricorderà come quasi niente fosse gratis. Certo, TIM, Libero e Tiscali fornivano a zero lire la connessione (al massimo con modem a 56Kbps), una casella e-mail, e un paio di mega su un loro web server, ma le limitazioni erano impressionanti, viste con gli occhi di oggi: limiti di spazio, di banda, di tecnologie utilizzabili, di dimensione degli allegati... per un'azienda, anche piccola, era impossibile avere una serie di servizi di un certo livello (top level domain, qualche centinaio di MB per il proprio sito, quattro o cinque caselle di posta agganciate al dominio, ecc.) senza sborsare centinaia di euro l'anno.

Poi è cambiato qualcosa. Non so chi abbia avuto per primo l'intuizione, ma sicuramente rivoluzionò il web: si potevano fornire servizi gratis sfruttando la pubblicità. L'idea in se non era nuovissima: le televisioni commerciali si basavano (e si basano tuttora) sulla pubblicità per sopravvivere (e, in molti casi, prosperare). Solo che la TV è un mezzo di comunicazione unidirezionale che offre potenzialità minime all'utente. Internet al contrario favorisce l'interazione e la condivisione (soprattutto della conoscenza).

Perciò la pubblicità ha iniziato a fare capolino in moltissimi siti, che proprio grazie a quegli introiti hanno potuto offrire gratuitamente sempre nuovi servizi ai loro utenti. L'emblema di questo nuovo modo di intendere il web è sicuramente Google (che, tra l'altro, mi consente di usare a titolo gratuito questo spazio).

In realtà la gratuità è solo apparente. I soldi sborsati dalle aziende per fare pubblicità, giocoforza vanno recuperati da qualche parte. E dove se non con rincari dei prodotti pubblicizzati? E quindi, chi paga? Tutti ovviamente, ma visto che non è un'imposizione diretta (come il canone RAI), siamo tutti contenti.

Ma Internet è in continua evoluzione e qualcuno si è accorto che la pubblicità indiscriminata non è poi così utile all'azienda pubblicizzata. Agli ufficio marketing non interessa che il loro prodotto venga visto da un milione di persone qualsiasi. Sono molto meglio mille navigatori potenzialmente interessati. Ma come si fa a discriminare per i vari prodotti chi possono essere gli internauti interessati e quelli no?

Semplice: raccogliendo più dati possibili su di loro: che siti visitano abitualmente, che ricerche fanno, che mail ricevono e spediscono, che amici hanno sui social network, ecc. Tutti questi dati vengono venduti alle aziende che potranno così predisporre campagne pubblicitarie mirate.

In sostanza, il prodotto da pubblicizzare adesso siamo noi e il fatto che ci vengano offerti dei servizi gratis è solo un modo come un altro per carpirci informazioni e per rivendere la nostra vita virtuale alle aziende che faranno pubblicità sui siti che visitiamo.

Anche il maiale è riconoscente verso chi lo nutre a titolo gratuito tutti i giorni. Salvo poi rendersi conto improvvisamente che Norcia non è proprio il posto migliore in cui vivere.

3 commenti:

  1. Di per sé, il meccanismo di cui parli non sarebbe necessariamente maligno, dal mio punto di vista. Lo diventa automaticamente nel momento in cui non è trasparente, cioè le persone non sono consapevoli di questa catena produttiva.
    Perché vedi, se qualcuno mi dicesse: "Ti offro tot servizi gratis, ma sappi che per pagarli devo utilizzare uno screening completo delle tue preferenze per venderlo alle aziende di marketing; se non sei d'accordo con questa cosa, allora ti garantisco la massima privacy, ma il tuo blog costa 200 euro all'anno", io firmerei.
    Il fatto è che probabilmente, molte persone inizierebbero a fare domande imbarazzanti tipo dove vanno a finire i dati raccolti, come vengono raccolti, per quanto tempo vengono conservati, chi li potrà utilizzare e per fare cosa eccetera.

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  2. Dici bene: il problema è la trasparenza. Che dovrebbe esserci anche riguardo alle "domande imbarazzanti". In fondo, è (o dovrebbe essere) uno scambio: nelle condizioni d'uso, tu fornitore, mi dici cosa posso o non posso fare con il tuo servizio e io ti dico cosa puoi o non puoi fare con i miei dati.

    In realtà non funziona così: il fornitore decide cosa puoi fare con il suo servizio e anche cosa farà con i tuoi dati. Se non ti soddisfa la gestione della privacy fai a meno di usufruire del servizio.

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  3. Credo che molti si facciano più problemi del dovuto. Insomma, se devo comunque sorbirmi 10 spot, tanto vale che siano spot di cose che mi interessano. Magari si estendesse agli spot in TV... farei solo ricerche su biancheria intima e creme abbronzanti! :-)

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